Riproduzione parziale dal n. 217 di "Noi famiglia & vita" del 30/04/2017
di Cecilia Pirrone
Così Giovanni racconta i suoi 40 anni di matrimonio con Enza: «Siamo alle porte del nostro quarentesimo anniversario: ci accompagnano meraviglia, stupore e ringraziamento per questo cammino.
(...) Lungo questi anni di matrimonio abbiamo capito il valore del dialogo dialogando con gli altri. A volte bastava uno sguardo, un 'pizzicotto' rubato mentre uno andava e l’altro tornava da
scuola, con i bambini per casa da seguire e i letti ancora da fare, per dirsi: 'Ci sei?' 'Ci sono!'. Poi, arrivata finalmente la sera, un bacio veloce. Così in tanti anni abbiamo imparato a
conoscere i pensieri e gli stati d’animo leggendo nell’altro la tensione del volto, il peso dei gesti, uno sorriso fuori luogo o carpendo un tono di voce sopra le righe. Un tuffo al cuore per la
tenerezza di una mezza parola sussurrata al telefono o un sobbalzo di dispiacere allo schioccare secco di un 'Non lo so!'».
Dialogo non è certamente dire solo delle parole, ma innanzitutto è la prima via regale della coppia, è lo strumento per eccellenza che porta a conoscere l’altro. Il dialogo è comunicare
se stessi; sapere ascoltare; essere premurosi; essere delicati; essere pazienti.
Attraverso il dialogo c’è un’attenzione maggiore verso il coniuge, nei confronti di ciò che vive e sperimenta, riconoscendone i suoi bisogni: nello scambio comunicativo vediamo l’altro e
l’altro vede noi. Il dialogo rappresenta ciò che il respiro è per la vita dell’uomo: quando il respiro si blocca, il corpo muore; quando non c’è il dialogo, il rapporto di coppia si indebolisce e
può spegnersi.
Attraverso la comunicazione ci si apre all’altro, facendolo partecipe di tutto ciò che si vive. Certo questo implica il mettersi a nudo anche con le proprie fragilità. Significa rendersi poveri.
Crescere nel dialogo, tuttavia, implica anche il riconoscere ciò che si prova. Tutto questo non si improvvisa, ma esige un attento esercizio, la volontà di costruire giorno per giorno,
evitando alcune trappole che possono rendere la vita della coppia una tragedia, quali per esempio leggere nella mente dell’altro, avendo la presunzione di conoscerlo; pensare di sentire ciò che
l’altro sente; credersi trasparenti; il comunicare in maniera confusa, generalizzando: «Voi donne siete tutte uguali», oppure: «Voi uomini siete tutti disordinati».
Avere la possibilità di poter esprimere i propri sentimenti, i propri bisogni, i propri progetti è linfa vitale, ossigeno, energia di cui la coppia ha bisogno per vivere.
Dialogare è incontrarsi per stabilire un contatto profondo fin nelle più remote fragilità, accoglierle, accogliersi ed accettarsi così come si è. Dialogare è parlare di ciascuno, è
condividere i sentimenti, i bisogni, le speranze, le delusioni e le tristezze. Dialogare è mostrare interesse, attenzione e partecipazione al mondo dell’altro.
(...) In fondo abbiamo una bocca e due orecchie per parlare una sola volta e ascoltare il doppio. Ascoltare non è soltanto udire e sentire i suoni con la testa, ma è fare entrare l’altro nella
propria vita. Ascoltare è fare un viaggio con il cuore; è prendersi cura; è vedere, capire ciò che succede all’altro; è dare importanza al coniuge, è accoglierlo e comprenderlo, possibilmente
guardandolo negli occhi e standogli fisicamente vicino. Insomma, è portare tutto noi stessi, persino il nostro corpo, in contatto con l’altro. Ad ascoltare si impara! Soprattutto tra sposi,
quando dopo anni ci si conosce così bene che si riesce anche a ferire in profondità! Ascoltare implica una scelta ed è un’arte da affinare sempre di nuovo lungo le stagioni della vita. L’ascolto
dell’altro, in definitiva, ha come primo 'banco di scuola' l’ascolto di sé: l’attenzione che si dà a quanto si sente e si vive, la cura nel prendere sul serio ciò che si percepisce è un esercizio
elementare per essere pronti a 'sintonizzarsi' sull’altro.
Ma attenzione, l’ascolto non è solo una questione verbale, anzi! Per il 60% noi siamo 'visivi'. L’immagine, più che mai oggi assume una importanza fondamentale: oggi non si pensa più con
il cervello, ma si pensa con gli occhi. Si pensi alla forza comunicativa di un gesto, uno sguardo, un sorriso, una lacrima, la postura, l’atteggiamento, comunicano più di mille
parole. Infine, ascoltare è anche saper scegliere il momento adatto: sia verificare il desiderio dell’altro di interloquire con me, sia per garantire uno spazio effettivo che permetta un buon
ascolto. L’ascolto permette un atteggiamento cooperativo, creativo, ricco di risorse e di novità. Quell’atteggiamento che produce l’accordo, cioè il trovarsi dopo che ciascuno ha fatto
un pezzo di strada, scoprire la 'terza via' che, prima dello scoppio del problema non era nemmeno pensata. Non si sta vagheggiando una impossibile atmosfera di coppia in cui tutto scorre liscio,
dove non ci sono problemi, dove sempre e comunque ci si capisce e si funziona come un 'essere solo', ma solo facendo il tifo perché possa fiorire l’accordo, che proprio perché tale entrambi si
desidera mantenerlo. Esso è frutto di negoziazione e contrattazione che non sono per nulla 'umilianti', al contrario deriva da due persone che si considerano con la stessa dignità, capaci di fare
sempre e solo piccoli passi possibili di volta in volta.
«Quando parlo, porgimi lʼorecchio per favore»
Se parlare è un bisogno, ascoltare è un talento, perché saper ascoltare è sintonizzarsi con l’altro.
Ascoltare significa letteralmente 'porgere l’orecchio', indicando il gesto materiale di 'appoggiare l’orecchio' ('auscultare', nel senso etimologico): un’immagine plastica che implica in sé uno
'stare ad ascoltare con attenzione'. Una regola è fondamentale: «Uno parla e l’altro ascolta, senza interruzioni!». Ciò che conta è lasciar parlare l’altro, fino in fondo, è 'dargli spazio'
regalargli tempo, accettare che si dica: come sa e come può! Un simile ascolto è fatto di mille piccole attenzioni. In fondo, con un buon ascolto trasmetto chi tu sei per me!
Che succede invece alle volte dopo tanti anni di matrimonio? L’altro, il mio coniuge, colui che ho promesso di onorare, nemmeno lo guardo negli occhi mentre mi parla. Magari non è il momento
opportuno, magari si sta dilungando su dei dettagli che per me sono superflui … magari devo uscire, sono di fretta, ho l’ennesima riunione! Un’attenzione particolare è che l’ascolto dell’altro
dovrebbe essere libero dai propri filtri, cioè non dovrebbe essere decodificato dal proprio modo di vedere e di pensare. Evidentemente questo è un bel desiderio … ma un compito impossibile in
senso assoluto! Semmai è necessario essere consapevoli delle proprie 'precomprensioni' (attese, opinioni, giudizi, stili, …) e vigilare su di esse. Ecco perché un buon ascolto non è un puro fatto
istintivo, ma chiede tempo.
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