Riproduzione parziale dal n. 223 di "Noi, famiglia & vita" del 26/11/2017
di Viviana Daloiso
Da dove inizio? È successo tutto così in fretta. All’inizio mi sembrava una favola.... Claudia ha 15 anni appena, Filippo tre in più. È un amico di suo fratello. «Credevo che nemmeno mi vedesse.
E invece un giorno mi ha chiesto di andare al cinema. La serata più bella della mia vita. Tutto il tempo abbracciati, primo bacio». Eccolo, l’amore adolescente che nasce: mille chiamate al
giorno, mille messaggi, «io ero così contenta. Mi dicevo “non gli basto mai!”. Mi sembrava impossibile che non si stufasse di me».
Claudia sta talmente bene con Filippo, e Filippo con Claudia, che piano piano iniziano ad uscire sempre da soli. «Mi diceva che non avevamo bisogno di nessun altro. E io all’inizio credevo avesse
ragione lui. Mi faceva sentire come una principessa». Ma poi Claudia comincia a sentire il desiderio di avere spazi suoi. Poter parlare con le amiche senza averlo sempre vicino. E qui cominciano
i problemi. Comincia, quasi impercettibile, la violenza. Claudia la vede appena, ma non sa come chiamarla, è troppo piccola: «Lui sembrava proprio non sentire quello che gli dicevo. Sembrava che
più gli dicevo di lasciarmi un po’ di spazio, più lui stringeva ancora di più il cerchio attorno a me». Filippo cambia. Inizia a controllare il telefonino di Claudia, la chiama di notte, le
impedisce di uscire con altre persone, vuole addirittura scegliere gli indumenti che indossa: «Ho iniziato a sentirmi sempre peggio. Provavo a spiegargli che non stavo bene, ma lui sembrava non
capire e cominciava ad avere sempre più frequenti reazioni molto forti di rabbia. Ho cominciato ad avere paura».
Prima degli insulti, prima delle botte e dei femminicidi, c’è l’ombra drammatica della teen dating violence. Gli esperti la chiamano così, la storia di Claudia: è quella della violenza nelle
coppiette di adolescenti, quella che sboccia indisturbata e inosservata sui banchi di scuola, alle feste di compleanno, sulle spiagge d’estate, mentre mamme e papà chiacchierano sotto
l’ombrellone. Bravi ragazzi che incontrano brave ragazze, è sempre successo, eppure in quasi la metà di questi rapporti ora si scopre che c’è già qualcosa che non funziona. Il possesso, la
sottomissione. Il carnefice, la vittima.
In Italia il fenomeno esiste, ha già consumato persino le sue insensate tragedie: Noemi, uccisa a 16 anni a Specchia dal fidanzatino qualche mese fa; Fabiana, bruciata viva nel 2014, sempre a 16
anni, sempre dal suo grande amore. Ad occuparsene c’è un’équipe di giovani psicologhe dell’Università di Trieste, guidate dalla veterana Patrizia Romito. Che sul dramma delle “piccole” donne ha
svolto – sola nel nostro Paese – uno studio a campione, in Friuli Venezia Giulia: 700 gli studenti dell’ultimo anno di superiori intervistati, decine i gruppi di ascolto e di dibattito
organizzati. Risultato: più di una ragazza su dieci, molto prima della maggiore età e per di più al di fuori di particolari contesti di disagio sociale, ha già vissuto esperienze di violenza
nella coppia. Controllo, ossessione, rapporti sessuali forzati persino «perché sei la mia ragazza, me lo devi». Una drammatica normalità.
Di più: il 16% delle intervistate friulane ha subito «gravi e ripetute violenze psicologiche o persistenti comportamenti di dominazione e controllo», il 14% addirittura «violenze o molestie
sessuali». E su questi dati si inserisce, con tutta la sua portata di ulteriore violenza, il cyberbullismo: che proprio nelle ex fidanzatine trova un bersaglio facilissimo e che già dai 10 anni
comincia a mietere le sue piccole vittime, poco più che bambine.
«Ci si fa male, e proprio in quelle prime dinamiche relazionali capaci poi di condizionare i modelli comportamentali per tutta la vita – spiega Lucia Beltramini, tra le responsabili della ricerca
–. L’aspetto più grave che abbiamo riscontrato è poi che a queste prime violenze si collegano problemi fisici: disturbi alimentari, esaurimenti nervosi, ansie e forme di stress precoci». Le
ragazze, proprio come Claudia, raccontano di non aver capito all’inizio perché si sentivano male, perché non volevano più magiare, o – in altri casi – perché il sabato sera cominciavano a bere
senza misura, persino ad assumere sostanze. La spirale della violenza che, negli adolescenti, tutto risucchia e tutto solleva: i disturbi patologici, le dipendenze, nei casi più estremi persino
l’autolesionismo.
L’esperienza di Trieste non si è fermata alla raccolta dei dati. Nel corso degli anni le psicologhe dell’università hanno raccolto testimonianze e affrontato quanto emerso in fase di test con
colloqui individuali e di gruppo nelle scuole «scoprendo che quei comportamenti in moltissimi casi non sono nemmeno considerati come violenze – continua la psicologa –: i ragazzi spesso non
considerano il controllo ossessivo delle chat e del telefonino come un abuso, le ragazze addirittura lo interpretano come una forma di amore e di interessamento: mi cerca, mi vuole, mi
aggredisce, allora valgo per lui». Serve cambiare allora, innanzitutto il loro modo di guardare a queste dinamiche.
L’università, che ha potuto proseguire le sue ricerche grazie ad alcuni fondi della Provincia e al sostegno economico di una fondazione privata spagnola (a Valencia il modello adottato in Friuli
fa scuola), ha trasformato l’impegno di studio anche in strumenti di formazione e prevenzione: il risultato è un tour nelle scuole di ogni ordine e grado («cominciamo con le medie, anzi sarebbe
l’ideale partire sempre già da lì») e un portale dedicato agli adolescenti (www.units.it/noallaviolenza) che attraverso un linguaggio semplice e storie vere accompagna i ragazzi alla scoperta del rispetto reciproco. «Quello che si
ottiene con gli adolescenti è sorprendente in termini di efficacia – conclude Beltramini –: percorsi formativi di questo tipo non solo hanno la capacità di educare i ragazzi a rapporti “sani” ma
anche di trasformarli in esempi, cioè strumenti di educazione fra i loro coetanei». Moltiplicare il bene, prima che il male metta radici. Intercettare il male quando è ancora “seme”. Sul sito si
fa attraverso immagini disegnate in stile fumetto, pensate e realizzate apposta per intercettare un pubblico giovane. E con un linguaggio chiaro e diretto: titoli dei sottocanali «La violenza »,
«La riconosco?», «So cosa provoca?», «Storie come la mia» e ancora «Mi serve aiuto». Dentro una vera e propria guida alle piccole vittime, coi link ai servizi di ascolto e di accoglienza sui
territori, con video e proposte di approfondimento intelligenti (come quella di fermarsi a pensare alle parole delle canzoni del momento, che spesso raccontano storie di violenza, di rapporti di
coppia basati sul possesso, sulla gelosia, sul farsi male: «Ve ne viene in mente qualcuna? – chiede il sito –. Condividetele con noi»). Il portale ideato dall’università di Trieste è uno
strumento concreto, mirato. Forse il primo di questo tipo, in Italia. Il fatto che qualcuno ci abbia pensato racconta di una nuova sensibilità, che andrebbe scoperta e valorizzata dalle
istituzioni. La violenza contro le donne nel nostro Paese ha numeri sempre più impressionanti: sono quasi in 7 milioni ad averla subita nel corso della propria vita, quasi una donna su tre.
Capire come evitare che nasca, prima che fermarla, è la sfida che l’Italia deve vincere nei prossimi anni. Guardando alle nuove generazioni.
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