Bambini giù dal trono

Rispetto dai figli

Piccoli tiranni incapaci di accettare un semplice "no", pesti fuori controllo. L'esperto: la colpa è degli adulti che devono smettere di issare i figli sul piedistallo

 

di Amelia Elia

Riproduzione da Noi Genitori & Figli

 

Adesso smettila, mi hai proprio stufato: non è strano che una mamma esasperata si rivolga in questi termini al figlio esasperante. Non è strano neppure, purtroppo, che sia il pargolo a redarguire con quella frase secca la madre colpevole di contraddirlo. I bambini che sgridano i genitori sono ormai la norma, i teneri infanti che considerano un delitto di lesa maestà ogni "no"rivolto al loro indirizzo popolano il mondo e i capricci in pubblico sono spettacoli che non attirano nemmeno più l'attenzione. Per allevare una tal schiatta di tiranni ci sono volute cure amorevoli e comprensione, attenzioni sollecite e infinita pazienza. Il risultato di tanta premura non è esattamente quello previsto: ma non è certo colpa dei bambini se si ritrovano dispotici ed egoisti, se non sanno più distinguere i comportamenti leciti da quelli proibiti, se la parola "regola" non è stata introiettata e, anzi, per comprenderne il significato bisogna ricorrere al vocabolario. Cresce il numero di bambini la cui educazione è completamente fuori controllo, che hanno perso ogni sembianza dei «bravi figlioli» che un tempo - neanche lontano -ogni mamma e papà desideravano. I danni si vedono sul lungo periodo, quando i bambini sono cresciutelli e cominciano a dover fronteggiare le frustrazioni che la vita — ahinoi — non risparmia a nessuno: «Nella maggior parte dei casi abbiamo a che fare con esseri umani il cui grado di maturità psichica ristagna a livello di un bambino di tre anni. In altre parole, si tratta di ragazzi bloccati alla fase psichica della loro prima infanzia e dato che la loro età psicologica e quella fisica divergono fortemente, non riescono più a costruire alcuna sana relazione con l'ambiente che li circonda». L'analisi è di Michael Winterhoff, neuro­psichiatra infantile, che soggetti del genere ha avuto modo di conoscerli, studiarli e aiutarli nel corso di vent'anni di professione. Frutto della sua esperienza sul campo è anche "Figli o tiranni?", edito da Tea.

Tra le pagine - dense di casi clinici che funzionano da esempi — si dà conto del tentativo di riorganizzare le dinamiche non proprio esaltanti che oggi vengono messe in campo tra i bambini e gli adulti, primi tra tutti i genitori ma anche gli insegnanti e le altre figure di educatori che gravitano intorno ai più piccoli. «Il fenomeno della diminuzione delle nascite - scrive Winterhoff - proprio come in una dinamica di mercato, ha reso il bambino un bene raro e quindi assai appetibile, a cui deve essere accordato un trattamento privilegiato»: con il risultato che ai bambini vengono attribuiti ruoli inadatti a loro, a cui non sono preparati e per i quali non dispongono di adeguata competenza psichica. Interpellare i propri figli su tutto e su tutti, coinvolgerli in ogni decisione, farne consiglieri di acquisti e suggeritori di stile non è un bene, non è il loro bene. Il problema sta nello spostamento dei ruoli: «Bambino e adulto si trovano sullo stesso piano e si guardano negli occhi. In questo modo — chiarisce Winterhoff - nessuno dei due può stabilire una prospettiva». Ma come si deve sviluppare la psiche affinché le persone possano vivere, da adulte, una appagante vita relazionale, siano in grado di conquistare la necessaria autonomia, di trovare un impiego e impegnarcisi con successo, di valutare correttamente i propri sentimenti e controllarli di conseguenza? «Per riuscirci - risponde Winterhoff - l'essere umano necessita di funzioni psichiche quali la tolleranza alla frustrazione, l'istanza di coscienza, l'attitudine al lavoro o anche l'impegno e la motivazione».

Tutte funzioni che devono venir sviluppate gradualmente a partire dai primi anni di vita e su cui bisogna insistere nel modo giusto e soprattutto al momento giusto: per esempio sarebbe utile non considerare un limite alla spontaneità dei piccoli pretendere che, in classe,  alzino  la mano  quando vogliono dire la loro, non interrompano gli adulti mentre parlano, non urlino per attirare l'attenzione.   L'apprendimento di   comportamenti   basilari  — come ascoltare e prestare attenzione quando gli altri parlano o collaborare al lavoro comune — non sono affatto scontati. E alcuni non li imparano proprio, presentandosi   alle   soglie   dell'età matura  incapaci  di  confrontarsi con la realtà, impreparati al mondo del lavoro, alle relazioni: «Il tollerare diversi tipi di frustrazione, saper reggere situazioni   non   piacevoli,   l'attendere  la soddisfazione di un desiderio diventano per questi soggetti - spiega Winterhoff — momenti critici che a lungo termine mettono in discussione la capacità di vivere e di sopravvivere dell'individuo». In sintesi, i bambini che già da piccoli vengono considerati   saggi   "ometti",   coscienziose donnine"  si  vedono   negare  un diritto fondamentale: svilupparsi   in   modo   consono alla loro età. «I bambini devono    poter    essere bambini — conclude l'esperto - ma gli adulti devono voler essere tali».

 

Il bambino sul trono

Autorità sui figli

«Fa solo di testa sua». «In casa comanda lui» Come ristabilire l'autorità in famiglia? Uno studioso sentenzia: impossibile Ma c'è una via d'uscita: rispetto e "buona vigilanza" In nome della democrazia


di Paola Abiuso

Riproduzione da Noi Genitori & Figli

«In famiglia non c'è più autorità». «Bisogna restaurare il principio di autorità». Su giornali e riviste e nelle conversazioni tra amici non si discute d'altro: i bambini fanno di testa loro, non ascoltano nessuno, il permissivismo ha fallito, i genitori devono riprendere in mano la situazione mostrando fermezza, severità, inflessibilità. In una parola: autorità.

 

Solo un paio d'anni fa la ricetta educativa alla moda era ben diversa e puntava a far germogliare tutte le capacità del bambino, che andava lasciato libero di muoversi ed esprimersi con il minor numero di regole possibile. Anzi: quando in famiglia il piccolo iniziava a opporsi, a esprimere i suoi "no", i genitori si felicitavano per il "carattere" dimostrato dal figlio. Salvo poi rimanerne travolti. Pediatri, medici e psichiatri dell'infanzia lo sanno bene perché sono subissati da genitori che «non ce la fanno più». Piccoli di 2-3 anni che rifiutano di mangiare a tavola, impongono i programmi che vogliono, si incolleriscono se al supermercato non si acquista quello che desiderano. Il sonno è un altro aspetto rivelatore: i genitori chiedono consiglio perché il bambino non vuole dormire la sera, non accetta di andare a letto se prima non sono coricati anche loro, così da costringerli a penose "recite" della durata di 2 o 3 ore...

 

Ecco allora che i genitori, distrutti da tanta "creatività", tornano a invocare il "principio di autorità". Troppo tardi, secondo lo studioso francese Daniel Marcelli, pedagogista e psichiatra, autore di un libro tradotto in italiano dal titolo esplicito "Il bambino sovrano — Un nuovo capo in famiglia?" (Raffaello Cortina editore). Marcelli espone una tesi un po' ardita ma molto suggestiva secondo il quale nella nostra società non si può più parlare di autorità nei confronti di un bambino. Perché? Perché dalla Dichiarazione dei diritti del fanciullo in avanti, il bambino non è più immaginato come un cucciolo d'uomo, un futuro adulto e come tale imperfetto e dipendente, bensì come una persona completa fin dalla nascita, già perfetta e, anzi, "sapiente". L'infanzia è vista come un'età dell'oro in cui le competenze sono fantastiche: il neonato sa distinguere i suoni, sa riconoscere la lingua materna, apprende a velocità record. Il culto del bebé è al suo apice e i "grandi" avrebbero solo da imparare dalla sua spontaneità, creatività, umanità... «Si può incitare i bambini a esprimersi, gli scolari a dimostrare creatività e individualità, e nello stesso tempo esigere da loro un'obbedienza silenziosa?», si chiede Marcelli.

 

Dunque, argomenta Io studioso un po' paradossalmente, non sono più gli adulti a esercitare un'autorità sul bambino, ma viceversa. «E lui che dirige la famiglia - spiega lo studioso - ed è nel suo quasi esclusivo interesse che la famiglia si struttura. Oggi non è più il bambino che serve l'interesse della famiglia, ma è la famiglia a essere al servizio dell'interesse del bambino».

 

Allora gli equilibri genitori-figli nelle nostre società democratiche (e non autoritarie...) vanno ridisegnati sulla base di un diverso rapporto, non più verticale, ma orizzontale. Questo nuovo rapporto secondo lo psichiatra francese è la fiducia reciproca. Il padre (e la madre) offrono al bambino una "buona vigilanza" (bonneveillance in francese), uno sguardo cioè benevolo e vigile, attento e premuroso: lo lasciano libero di esprimersi ma con i limiti che la sua sicurezza e il suo equilibrio psicologico richiedono. Si tratta di un'autorità "silenziosa", orizzontale anche se asimmetrica, esercitata dai genitori sul bambino. La bonneveillance, per usare le parole dell'autore, è «lo sguardo d'interesse, di sollecitudine, di empatia che ogni bambino ha il diritto di aspettarsi dagli adulti che stanno accanto a lui e lo educano». A questo rapporto asimmetrico si accompagna un altro principio, quello del rispetto che ogni genitore ha il diritto di esigere «come prova di simmetria nei confronti dell'attenzione che porta al bambino». L’etica del rispetto, conclude Marcelli, che «si basa sulla condivisione comune, da parte dell'adulto e del bambino, delle regole della vita comunitaria, è simbolo di una relazione simmetrica e democratica tra due esseri umani con eguali diritti e prepara il bambino a vivere in una società in cui l'affermazione del proprio punto di vista diventa una competenza utile, se non addirittura necessaria». Chi osa più parlare di autorità?