Riproduzione parziale dal n. 229 di "NOI, famiglia&vita" del 27/05/2018
di Irene Trentin
Mamma, vieni a giocare con me? Non posso, devo finire di caricare la lavatrice e poi devo preparare la cena... La più scontata richiesta di attenzione rischia di cadere nel vuoto, tra corse contro il tempo e genitori sempre più occupati. Soprattutto, se a lavorare sono entrambi, mamme e papà. Col rischio in una famiglia sempre più stressata, di trasformare la considerazione dei figli da un dono e una ricchezza a un problema da gestire. Qualche tempo fa, anche papa Francesco ha fatto un appello, ripreso poi da un tweet: 'Genitori, sapete perdere tempo con i vostri figli? È una delle cose più importanti che potete fare ogni giorno'.
Ma è meglio tempo di qualità o quantità di tempo? Su questo gli studi sono contrastanti, inutili cercare dati univoci. E se l’Harvard Magazine pubblica l’intervista a una mamma
avvocato che abbandona la carriera per dedicarsi ai figli, secondo un’altra rivista scientifica statunitense, il Journal of Marriage and Family, la quantità di tempo passato coi bimbi conterebbe
fino ai tre anni di età. Dopo, nei bambini che hanno tra i 3 e gli 11 anni, non avrebbe un peso determinante sul loro sviluppo – successi scolastici, comportamento e benessere emotivo – ma quello
che conta sarebbe la qualità. Durante l’adolescenza, però, la presenza dei genitori – e della madre in particolare – tornerebbe ad essere rilevante anche a livello quantitativo. Quello che è
sicuramente controproducente è invece il tempo di cattiva qualità, quando i genitori, guidati da un senso di colpa, cercano di passare tutto il tempo coi figli, anche se esausti, cadendo
nell’errore della 'genitorialità intensiva', del genitore onnipresente.
Le donne italiane poi non sembrano essere così distanti da quelle americane. Secondo l’Istat, in Italia le donne si dedicano in media due ore e mezza più degli uomini alla cura della casa e dei
figli. Un 43 per cento delle lavoratrici dichiara di avere problemi a conciliare casa e lavoro, mentre un terzo – sia uomini che donne – è insoddisfatto del tempo dedicato alla famiglia. Quando
poi la famiglia diventa numerosa, il tempo per giocare con i figli sembrerebbe un’impresa addirittura impossibile. Eppure, c’è non solo chi ci riesce benissimo ma è anche sereno e si gode tanti
figli sicuramente con fatica, ma senza eccessivo stress. Come ci raccontano Tiziana, 35 anni, un lavoro nella pubblica amministrazione, e Massimo, 36 anni, militare, di Roma, che hanno avuto da
qualche settimana il sesto figlio, Aurora. Gli altri sono ancora abbastanza piccoli: Samuele di sette anni, Giulia di sei, Gabriel quattro, Martina tre e Mattia, di quattordici mesi. «Tutti ci
guardano come se fossimo dei marziani. In realtà, per riuscire a gestire bene una famiglia numerosa, bisogna insegnare la responsabilità personale, naturalmente in base all’età e capacità di
ognuno», confida Tiziana. A cominciare dall’ordine: «Ciascuno dopo aver giocato deve rimettere a posto le proprie cose e dare un piccolo contributo nella gestione della casa. In questo modo,
riusciamo a coinvolgere tutti i figli nella quotidianità e a trovare anche il tempo da dedicare a loro», continua. Anche quando i più grandi, come Samuele, dimostrano di necessitare più
attenzione, mentre i fratelli più piccoli giocano tra di loro. Ecco allora che l’apporto del marito diventa indispensabile. «Samuele spesso mi cerca – racconta Massimo –. E io sono molto contento
di contribuire, rinunciando magari a un po’ di spazio che potrei dedicare a me. L’ho voluta io una famiglia così bella e non mi pesa aiutare mia moglie, non solo accompagnando i figli a calcio o
nelle diverse attività, ma anche preparando una lavatrice, se lei non ci riesce. La soddisfazione di giocare coi figli è molto più grande di qualsiasi partita alla televisione».
«Chi viene a trovarci, ci dice che non sembra una casa con sei figli – ride Tiziana –. In realtà, il segreto è che atteggiamento hai con loro. Non devi essere ansioso, ma calmo e sereno anche
quando litigano. Bisogna infondere e dare fiducia. Certo, il tempo non è mai abbastanza, ma ognuno di loro deve sapere che può sempre contare su di noi e che soprattutto noi crediamo in loro. Non
è una questione di quanto tempo concretamente riusciamo a dare, ma del modo che abbiamo di guardarli, della tenerezza che abbiamo di fronte a ciascuno di loro».
Disponibili sempre e comunque. Ma anche “rispettandovi”
Anche solo dieci, quindici minuti al giorno. Ma che devono essere esclusivi. Ad essere determinante non è tanto la quantità di tempo, ma la qualità del rapporto che abbiamo con i figli. A
spiegarlo è Elisabetta Rossini, pedagogista, consulente familiare e collaboratrice del centro culturale San Fedele di Milano: «L’importante è che questi minuti siano solo per loro, con coccole e
abbracci se più piccoli, una breve chiacchierata se più grandi». Senza televisione, cellulari e altre distrazioni. «Spesso ci lasciamo sopraffare da stanchezza, nervosismo e ansia – continua
l’esperta –. Diventa fondamentale, allora, una volta rientrati in casa, riuscire a trasmettere un messaggio positivo, scrollandosi i sensi di colpa e senza compensare l’assenza con regali o
assecondando ogni richiesta. Non ci si deve mai dimenticare di far rispettare le regole base, ribadendo con chiarezza i sì e i no, perché altrimenti si rischia d’ingenerare confusione».
Ecco, allora, una sorta di decalogo, suggerito dallo studio di consulenza Rossini- Urso, che può essere d’aiuto.
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