Riproduzione dell'editoriale di "Noi, genitori & figli" del 29/11/09
di Luciano Moia
Granelli di polvere che si depositano sulla storia di un matrimonio e che, parola dopo parola, gesto dopo gesto, possono diventare macerie. E poi trasformarsi in barricate di spazzatura
psicologica da incomprensione, in cumuli di rifiuti generati dalla polvere dell’indifferenza reciproca in cui allignano la presunzione delle proprie ragioni e l’incapacità di attribuire priorità
a ciò che veramente conta. Quando i muri crescono a tal punto da impedire di comprendere le posizioni dell’altro e di ascoltare la voce della sua sofferenza, è facile rassegnarsi ad alzare
bandiera bianca. E allora, nella nebbia di una confusione esistenziale in cui appare sempre più difficile distinguere realtà ed emozione e in cui il futuro sembra perdere qualsiasi motivo di
entusiasmo, risuonano parole vecchie, spesso false e incapaci di riflettere autenticamente la realtà. Parole che rischiano innanzi tutto di spegnere le speranze: «Non ce la facciamo più, non ci
comprendiamo più, come sembriamo improvvisamente distanti, non abbiamo più nulla da dirci. Forse è meglio che ciascuno vada per la propria strada». E’ lunga la lista di chi in questi ultimi anni
si è arreso. Quelli delle statistiche non sono più numeri ipotetici ma chiodi dolorosi piantati nel cuore di tanti di noi che ogni giorno lavoriamo fianco a fianco, che ci incontriamo uscendo di
casa, che ascoltiamo quell’amico che ci racconta con l’emozione che lo soffoca, di come la moglie ormai lontana inventi di volta in volta le scuse più assurde per impedirgli di sentire al
telefono i figli. E di come l’avvocato gli spieghi che no, non c’è niente da fare, se non tornare dal giudice per denunciare il mancato rispetto dell’accordo di affidamento congiunto. Ma che lui
questa strada non intende proprio percorrerla, perché non vuole aggiungere il dolore e l’imbarazzo di nuova, invasiva burocrazia a quella, infinita, già sopportata. Sono già stati troppi, spiega,
i giorni di attesa, di sofferenza, di timore, di incertezza che abbiamo vissuto per preventivarne di nuovi. Parla ancora al plurale, forse senza rendersene conto, perché al di là delle piccole,
atroci vendette che lui e la moglie si scambiano nel segno di un’incomprensione resa più amara dalla distanza, dalle accuse reciproche e dalla gravità dei gesti consumati, il ricordo di tutto
quanto vissuto insieme è ancora ben presente. Ma è un amore lacerato e ferito, disperso lungo una strada in cui nel frattempo si sono inseriti tanti altri ostacoli, tanti altri motivi di
difficoltà e di tensione. Secondo quella logica di conflittualità permanente che sembra la cifra delirante dei nostri giorni. L’astio, la litigiosità, il contrasto duro e anche intollerante come
prassi ordinaria nei rapporti umani, sul lavoro, al volante, nelle code agli sportelli. Anche l’amore, o ciò che ne resta dopo una separazione, non sfugge a questa logica perversa. «Vorremmo
parlarci, spiegarci, ma da soli non ce la facciamo». No, nessuno o quasi, nell’arcipelago magmatico di una separazione, possiede calma e lucidità per riannodare da solo i fili di una storia che
si sono attorcigliati in modo inestricabile intorno al dolore e all’incomprensione. Serve quasi sempre un aiuto “professionale” come quello della mediazione familiare, una figura preparata e
accogliente a cui marito e moglie si possano rivolgere con fiducia per fare chiarezza in un rapporto di separazione in cui tutto appare schizofrenico. Il mediatore non punta a ricucire una storia
che si è lacerata forse in modo definitivo, ma aiuta a comprendere come continuare a rispettarsi e a “collaborare”, soprattutto per il bene dei figli, in una situazione in cui ogni parola, ogni
gesto, rischia di diventare un’occasione per rinnovare i contrasti, per rispolverare colpe e accuse. Sotto la guida dell’esperto i coniugi separati imparano a comprendere che la guerra permanente
è solo nuova, dilaniante sofferenza, che va ad aggiungersi a quella già vissuta e che tante macerie ha lasciato nei cuori e nella vita di entrambi. E che serve invece ritrovare le ragioni di un
accordo condiviso, in cui rimettere in fila le buone prassi di una quotidianità accettabile – seppure a distanza – capace di asportare pian piano, nel segno del rispetto reciproco, le
incrostazioni lasciate da lunghi giorni, o mesi o anni, di silenzi e di rancore. Non è un percorso facile. Riscoprirsi compagni di strada ma su percorsi paralleli, trovare un nuovo equilibrio
dopo la burrasca della separazione, non è mai un esito scontato. Può darsi che le presenze che nel frattempo si sono inserite nella vita di ciascuno non agevolino il percorso. Ma non è da
escludere neppure che i costi possano rappresentare un ostacolo insormontabile. Non tutti sono disposti a spendere 100 o 150 euro per una seduta dal mediatore familiare. E per tante coppie la
cifra può comunque apparire proibitiva, anche considerando che servono almeno 8-10 incontri per avere qualche possibilità di successo. Alcune tra le proposte di legge depositate in Parlamento
puntano, tra l’altro, a rendere obbligatorio il momento della mediazione in ogni percorso di separazione e quindi a trasferirne i costi a carico del pubblico. Può essere un tentativo opportuno.
In ogni caso tutto quello che si può mettere in campo per alleggerire la sofferenza di chi vive sulla propria pelle il dolore bruciante della disgregazione familiare è comunque degno di
attenzione. A patto che la mediazione “professionale” non diventi un alibi per allentare la già debole rete di solidarietà che le comunità, talvolta con fin troppe cautele, stanno tentando di
costruire per sostenere ed accompagnare le coppie in difficoltà.
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